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Voglia di normalità
Nato a Roma, vivo a Bari e sono rinato a Milano.
Con una cardiomiopatia aritmogena – la diagnosi è arrivata dal Gemelli di Roma – avevo poco da scherzare: tachicardie fortissime, svenimenti... La mia vita era piena di limitazioni: dovevo essere prudente, attento, non potevo sopportare certi sforzi o fatiche, non potevo guidare. Nonostante io non abbia mai smesso di lavorare – insegno al Politecnico di Bari –, ne risentiva anche l’ambito professionale. Soprattutto ne risentiva la mia famiglia: i miei tre figli piccoli non potevano contare su un papà a pieno ritmo e a tempo pieno, e io non potevo stare con loro come e quanto avrei voluto.
Negli anni che hanno preceduto il trapianto di cuore, al Policlinico di Bari mi hanno impiantato un defibrillatore automatico, uno dei primi in Italia: il mio cuore lo faceva entrare in funzione così spesso che nel tempo ne ho dovuti cambiare tre. Al San Raffaele di Milano ho avuto diversi interventi di ablazione, ma le recidive prima o poi si ripresentavano.
Insomma, quando è giunto il momento di pensare al trapianto, ho analizzato la situazione con l’aiuto di mio padre: dalle nostre “indagini” ci siamo fatti l’idea che quello di Niguarda fosse il miglior centro a livello nazionale per i trapianti e così, tra fine 2002 e inizio 2003, sono ripartito per Milano.
In lista d’attesa – dopo che, a fronte di esami e approfondimenti, hanno ritenuto opportuno inserirmi – sono rimasto pochi mesi. La telefonata dal Cardio Center è arrivata la mattina di un caldissimo 23 giugno, e tutto è accaduto molto in fretta: ho preso un aereo al volo e alle 15.00 ero già a Niguarda.
In sala operatoria sono entrato con il sorriso: non vedevo l’ora di poter riprendere una vita normale, grazie allo sconosciuto donatore, ai medici, chirurghi e infermieri. E quando ne sono uscito ho fatto di tutto perché fosse prima possibile. Mi prescrivevano mezz’ora di esercizio e io andavo avanti per un’ora; mi dicevano “fai un piano di scale” e io ne facevo 10 o 20; mi assegnavano 10 minuti di cyclette e dopo mezz’ora mi trovavano ancora lì a pedalare. Sono stato fortunato, lo so, perché il mio organismo era in grado di “stare al passo” con quanto la mia volontà mi spingeva a fare: dopo 15 giorni di ricovero sono tornato a casa e al mio lavoro. Conservo ancora la lettera di dimissioni.
È stato proprio nel post-operatorio che mi sono reso conto: l’intervento è fondamentale, imprescindibile, ma è solo il primo passo. Quello verso il ritorno alla normalità è un percorso fatto di regole precise, di tappe ben scandite, di procedure di controllo e di verifiche, di terapie e di upgrade. Ed è qui, nell’organizzazione impeccabile di questo processo che continua tuttora – a distanza di 20 anni sono seguito costantemente dal Cardio Center – che ho avuto la certezza di aver scelto il posto giusto: anche al di là della “bravura” dell’equipe che esegue l’intervento, una
squadra e una macchina organizzativa che funzionano, e che non mi stancherò mai di ringraziare, hanno fatto e fanno la differenza.
A giugno compirò vent’anni di vita con un nuovo cuore e ho deciso di “festeggiare”. Chiamerò i familiari e gli amici più cari, e passeremo una giornata di gioia, felici di poter stare insieme. Agli invitati chiederò di non portare regali, ma di fare una donazione alla Fondazione Cardiologia Angelo De Gasperis ETS, perché possa continuare a sostenere l’attività del Cardio Center di Niguarda, preziosa per me e per tanti altri pazienti.
Giacomo Scarascia Mugnozza