Storie a lieto fine

Le storie a lieto fine sono il risultato di un lavoro di squadra tra i pazienti, il team dei cardiologi e di tutti i professionisti del Cardio Center dell’Ospedale Niguarda, e la Fondazione Cardiologica Angelo De Gasperis.
  • Voglia di normalità

    Nato a Roma, vivo a Bari e sono rinato a Milano.

     

    A giugno compirò vent’anni di vita con un nuovo cuore e ho deciso di “festeggiare”. Chiamerò i familiari e gli amici più cari, e passeremo una giornata di gioia, felici di poter stare insieme.

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    Voglia di normalità

    Nato a Roma, vivo a Bari e sono rinato a Milano.


    Giacomo ScarasciaCon una cardiomiopatia aritmogena – la diagnosi è arrivata dal Gemelli di Roma – avevo poco da scherzare: tachicardie fortissime, svenimenti... La mia vita era piena di limitazioni: dovevo essere prudente, attento, non potevo sopportare certi sforzi o fatiche, non potevo guidare. Nonostante io non abbia mai smesso di lavorare – insegno al Politecnico di Bari –, ne risentiva anche l’ambito professionale. Soprattutto ne risentiva la mia famiglia: i miei tre figli piccoli non potevano contare su un papà a pieno ritmo e a tempo pieno, e io non potevo stare con loro come e quanto avrei voluto.


    Negli anni che hanno preceduto il trapianto di cuore, al Policlinico di Bari mi hanno impiantato un defibrillatore automatico, uno dei primi in Italia: il mio cuore lo faceva entrare in funzione così spesso che nel tempo ne ho dovuti cambiare tre. Al San Raffaele di Milano ho avuto diversi interventi di ablazione, ma le recidive prima o poi si ripresentavano.


    Giacomo ScarasciaInsomma, quando è giunto il momento di pensare al trapianto, ho analizzato la situazione con l’aiuto di mio padre: dalle nostre “indagini” ci siamo fatti l’idea che quello di Niguarda fosse il miglior centro a livello nazionale per i trapianti e così, tra fine 2002 e inizio 2003, sono ripartito per Milano.


    In lista d’attesa – dopo che, a fronte di esami e approfondimenti, hanno ritenuto opportuno inserirmi – sono rimasto pochi mesi. La telefonata dal Cardio Center è arrivata la mattina di un caldissimo 23 giugno, e tutto è accaduto molto in fretta: ho preso un aereo al volo e alle 15.00 ero già a Niguarda.

     

    In sala operatoria sono entrato con il sorriso: non vedevo l’ora di poter riprendere una vita normale, grazie allo sconosciuto donatore, ai medici, chirurghi e infermieri. E quando ne sono uscito ho fatto di tutto perché fosse prima possibile. Mi prescrivevano mezz’ora di esercizio e io andavo avanti per un’ora; mi dicevano “fai un piano di scale” e io ne facevo 10 o 20; mi assegnavano 10 minuti di cyclette e dopo mezz’ora mi trovavano ancora lì a pedalare. Sono stato fortunato, lo so, perché il mio organismo era in grado di “stare al passo” con quanto la mia volontà mi spingeva a fare: dopo 15 giorni di ricovero sono tornato a casa e al mio lavoro. Conservo ancora la lettera di dimissioni.


    Giacomo ScarasciaÈ stato proprio nel post-operatorio che mi sono reso conto: l’intervento è fondamentale, imprescindibile, ma è solo il primo passo. Quello verso il ritorno alla normalità è un percorso fatto di regole precise, di tappe ben scandite, di procedure di controllo e di verifiche, di terapie e di upgrade. Ed è qui, nell’organizzazione impeccabile di questo processo che continua tuttora – a distanza di 20 anni sono seguito costantemente dal Cardio Center – che ho avuto la certezza di aver scelto il posto giusto: anche al di là della “bravura” dell’equipe che esegue l’intervento, una
    squadra e una macchina organizzativa che funzionano, e che non mi stancherò mai di ringraziare, hanno fatto e fanno la differenza.


    A giugno compirò vent’anni di vita con un nuovo cuore e ho deciso di “festeggiare”. Chiamerò i familiari e gli amici più cari, e passeremo una giornata di gioia, felici di poter stare insieme. Agli invitati chiederò di non portare regali, ma di fare una donazione alla Fondazione Cardiologia Angelo De Gasperis ETS, perché possa continuare a sostenere l’attività del Cardio Center di Niguarda, preziosa per me e per tanti altri pazienti.


    Giacomo Scarascia Mugnozza

  • Un cuore in maglia azzurra

    La mia storia? In testa, nelle gambe e nel cuore ho sempre avuto… una bicicletta. 

    Ci sono salito a 3 anni, e a 7 ho cominciato a gareggiare e a vincere: ogni domenica sul podio. Sognavo la maglia azzurra, ma non sapevo ancora di avere una cardiomiopatia aritmogena al ventricolo destro.

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    Un cuore in maglia azzurra

    La mia storia? In testa, nelle gambe e nel cuore ho sempre avuto… una bicicletta.

     

    Ci sono salito a 3 anni, e a 7 ho cominciato a gareggiare e a vincere: ogni domenica sul podio. Sognavo la maglia azzurra, ma non sapevo ancora di avere una cardiomiopatia aritmogena al ventricolo destro.

     

    L’ho scoperto a 14 anni, quando sono finito in Pronto Soccorso con il cuore in tachicardia: c’è voluto un bel po’ perché riuscissero a rallentarmi il ritmo del battito.

     

    Ho detto addio alle gare, ma all’inizio non ho dovuto rinunciare a pedalare: bastava farlo con moderazione, e intanto seguire le cure. Ma con il passare degli anni il cuore si affaticava troppo e anche i medicinali non bastavano più: mi è toccato scendere dalla bici. A un certo punto mi hanno messo un defibrillatore sotto pelle, ma dopo un anno non bastava più neanche quello: ci voleva il trapianto.

     

     

    Sono arrivato al Cardio Center di Niguarda, con i miei problemi respiratori e il cuore ingrossato, e sono entrato in lista d’attesa. La chiamata ‘giusta’ è arrivata un 30 maggio, il 31 ero in sala operatoria ed è andato tutto bene. E poi mi sono rimesso a pedalare, prima sulla cyclette per la riabilitazione, poi su una bicicletta vera: me l’ha regalata mio fratello.

     

    E in bicicletta, dopo il trapianto, la maglia azzurra l’ho indossata davvero, e con onore: l’ho portata tre volte sul gradino più alto del podio dei campionati per trapiantati di cuore e polmone.

     

    Come ho fatto? Con passione, volontà, costanza e amicizia. Quella con Gianluigi, medico dello sport: è anche lui appassionato di bicicletta e ci alleniamo insieme. E quella… con il mio donatore, anche se non ho mai avuto idea di chi fosse.

     

    All’inizio non riuscivo a mandare giù il fatto che io me l’ero cavata perché lui non c’era più, che mentre io ricominciavo a vivere qualcuno stava soffrendo per aver perso un figlio, un fratello, un amico. Non mi davo pace. Un po’ alla volta ho capito che è il destino che ha voluto così. Da allora, quando pedalo e mi avvicino a una cima o a una meta, penso a quel ragazzo che non ho mai conosciuto, gli ‘parlo’. «Dai che ce la facciamo», gli dico, «Dai che arriviamo in cima», come se fossimo in due”.

     

    Ivano Saletti

  • Viva la mamma

    Ciao, mi chiamo Paola. Già da piccola, giocavo a pallavolo a livello agonistico. Facevo controlli regolari e il risultato era sempre lo stesso: idonea. Peccato che a un certo punto – eravamo a inizio 2014 – cominciai a sentirmi il fiato corto, un battito strano, le extrasistole… All’Università stavo finendo di dare gli esami e stavo preparando la tesi.

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    Viva la mamma

    Ciao, mi chiamo Paola. Già da piccola, giocavo a pallavolo a livello agonistico. Facevo controlli regolari e il risultato era sempre lo stesso: idonea. Peccato che a un certo punto – eravamo a inizio 2014 – cominciai a sentirmi il fiato corto, un battito strano, le extrasistole … All’Università stavo finendo di dare gli esami e stavo preparando la tesi.

     

    Sei giovane, mi dicevano tutti, vedrai che non è niente. Il medico di base mi rispedì a casa con una diagnosi di “ansia” e con i fiori di Bach. Poi saltò fuori un dolore sotto la scapola sinistra, ma sparì con la fisioterapia. Ad aprile, la laurea in lingue.

     

    A fine estate i sintomi erano troppi, ma anche un holter non rivelò nessuna anomalia. Se hai 25 anni e non salta fuori niente, chi pensa di andare più a fondo?

     

    Nel mio caso, la mamma. È lei che mi ha mandato dalla cardiologa, e la cardiologa ha “scovato” il mostro: un aneurisma di 8,6 cm all’aorta superiore. Ed è lei stessa che ha contattato subito i cardiochirurghi del Niguarda.

    Loro mi hanno spiegato la situazione con grande chiarezza: avere una spiegazione è stata la spinta per decidere di farmi operare. In un certo senso, ero addirittura contenta: sapere di poter risolvere la situazione ha avuto la meglio sulla paura.

     

    La cosa straordinaria è che, invece di mettermi una valvola nuova, sono riusciti a sostituire solo il pezzo di aorta e a rimettere in funzione la mia valvola. Con una valvola cardiaca meccanica, una futura gravidanza avrebbe potuto essere rischiosa per me e per il feto. Invece, grazie alla mia valvola “rattoppata” da bravissimi sarti, oggi sono la mamma di Diego. Al Cardio Center lo conoscono tutti: quando ho scelto di affrontare una gravidanza, ho deciso di partorire a Niguarda; il “mio” cardiologo veniva a verificare ogni giorno che tutto filasse liscio, ed è venuto a trovarmi quando ho partorito.

     

    Qualche anno fa, mia mamma ha avuto problemi alla valvola mitralica. Indovinate a chi si è rivolta? Adesso stiamo benone tutt’e due, e ogni anno andiamo a fare le visite di controllo insieme.

     

    Paola Muscionico

  • Prenderla con filosofia

    Stare fermo in un posto non è proprio nelle mie corde. Sarà che per molti anni sono stato un diplomatico: sempre in giro per il mondo, i traslochi non li conto più, e neanche le miglia di voli aerei accumulate. Adesso sono in pensione, ma continuo a muovermi per coltivare i miei interessi e i miei contatti internazionali, e anche a lavorare: scrivo.

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    Prenderla con filosofia

    Stare fermo in un posto non è proprio nelle mie corde. Sarà che per molti anni sono stato un diplomatico: sempre in giro per il mondo, i traslochi non li conto più, e neanche le miglia di voli aerei accumulate. Adesso sono in pensione, ma continuo a muovermi per coltivare i miei interessi e i miei contatti internazionali, e anche a lavorare: scrivo.

     

    La prendo un po’ larga, mi perdonerete: mi piace chiacchierare. Sono nato sull’Adriatico, che è un gran bel mare ma ha un clima umido che fa anche qualche dispetto: a me, ad esempio, ha regalato una cardiopatia reumatica. Dopo che ho avuto un infarto (un infarto un po’ strano: fate conto che sono arrivato in ospedale a piedi!), un amico archeologo che vive sull’Appennino marchigiano – anche lui con i suoi bravi problemi di cuore – mi ha suggerito di far vedere la mia miocardiopatia dilatativa al Niguarda.

     

    Al De Gasperis Cardio Center ho cominciato un percorso in due tappe. Prima mi hanno impiantato una un Vad, un dispositivo di assistenza ventricolare che aiuta il cuore a pompare il sangue ai vari organi del corpo: una specie di “ponte temporale” fino al momento del trapianto. Poi mi hanno messo un nuovo cuore.

     

    Cosa posso dire? Che la malattia è il segnale che ti dà il corpo per farti cambiare vita, ma che dopo l’intervento puoi tornare a fare la vita di prima: per me, almeno, è andata così. Appena ho potuto ho ripreso a viaggiare, due giorni qua, tre giorni là, altri due in un altro posto ancora…

     

    Neanche in ospedale riuscivo a stare fermo, cioè a non fare niente, e neanche zitto. Durante il ricovero ho scritto uno dei miei libri, nel post-operatorio ho studiato per laurearmi in Scienze politiche – ho preso la triennale nel 2015, la specialistica nel 2021 – e durante gli incontri con chi mi ha curato ho avuto tantissime conversazioni interessanti. Ma non parlavamo del mio cuore: con i dottori, si chiacchierava di filosofia!

     

    Stefano Barocci

     

  • Il paziente numero 12

    Quanti anni ho? 60.

    Quanti ne ha il mio nuovo cuore? 37.

    È vero, non è più così nuovo.

    Mi ha già regalato quasi quattro decenni di vita. È il regalo più bello che abbia mai ricevuto.

    E poi mi ha fatto sentire un po’ speciale. Se ci ripenso…

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    Il paziente numero 12

    Quanti anni ho? 60. Quanti ne ha il mio nuovo cuore? 37. È vero, non è più così nuovo. Mi ha già regalato quasi quattro decenni di vita. È il regalo più bello che abbia mai ricevuto. E poi mi ha fatto sentire un po’ speciale. Se ci ripenso…

     

    Quando seppi che avrei avuto bisogno di un trapianto, in Italia questo tipo di intervento non si poteva ancora fare. Ricordo benissimo: stavo cercando di organizzarmi per andare a farmi operare a in Francia, a Lione. Ma proprio i cardiologi del Reparto Cardiologico di Niguarda (adesso si chiama Dipartimento funzionale A. De Gasperis Cardio Center) mi dissero: «Abbi un po’ di pazienza, Gian Antonio, e vedrai che l’intervento lo facciamo qui».

     

    In effetti, 15 giorni dopo uscì la legge che consentiva i trapianti nel nostro Paese: era il 15 novembre 1985. Io venni operato l’8 dicembre, meno di un mese dopo: sono il 12° paziente in Italia a essere stato sottoposto a un trapianto di cuore.

     

    Che cos’è successo dopo? Quello che succede oggi: la degenza, le terapie, la fisioterapia per rimettermi in forma... È stato lì che ho conosciuto un asso dello sport: Alberto Cova, campione olimpico dei 10.000 metri piani ai Giochi di Los Angeles del 1984. Pedalava sulla cyclette di fianco alla mia. Lui si preparava a mietere allori sportivi, io mi allenavo per riprendere una vita normale, ed è andata proprio così: dopo un primo periodo a casa, ho recuperato del tutto, ho cercato e trovato un lavoro in banca, ho seguito la mia carriera professionale, mi sono sposato, ho avuto ... figli e ... nipotini. Oggi sono in pensione, l’età mi ha portato qualche altro acciacco, faccio controlli ogni sei mesi e… va bene così.

     

    Gian Antonio Radice

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